LUGLIO 2011
LA GIUSTIZIA E’ UNA COSA SERIA
Di Nicola GRATTERI - Ediz. Mondadori
Il libro nasce dalla conversazione del giudice Nicola Gratteri con Antonio Nicaso, storico delle organizzazioni criminali e uno dei massimi esperti di ‘ndrangheta nel mondo.
Servendoci di simulazioni di domande faremo conoscere il pensiero del magistrato sugli argomenti più interessanti nel campo della giustizia in Italia
Oggi le inefficienze del sistema giustizia costituiscono sicuramente una priorità. Nove milioni di processi pendenti sono davvero un macigno.
Un tempo si diceva che per “coprire” gli occhi alla giustizia fosse sufficiente avere soldi e amicizie. Ora la disuguaglianze vengono legittimate in Parlamento con leggi che puniscono più gravemente l’immigrazione clandestina che il falso in bilancio o la corruzione per atto d’ufficio.
Che gli straccioni e i galantuomini siano soggetti a due giustizie rimane il dubbio di sempre.
E intanto le mafie continuano a espandersi e a investire nelle zone più ricche del paese. Si muovono sotto traccia e si confondono con gli onesti. Pochi denunciano e i politici minimizzano, come se quella della criminalità organizzata non fosse una questione aperta da centocinquant’anni.
Fanno più paura i rom, i lavavetri, gli immigrati clandestini. Il malaffare si nasconde dietro i colletti bianchi, tra le pieghe di un sistema che favorisce i più furbi.
A proposito del “processo breve” e di “riti abbreviati” Gratteri così si esprime: “Nei processi di mafia il rito abbreviato non serve a nulla. Non velocizza i processi e aiuta i mafiosi a ottenere pene meno pesanti” . Infatti “Se quaranta imputati su cinquanta chiedono di essere giudicati con il rito abbreviato, in caso di condanna beneficeranno della riduzione di un terzo della pena. Per dimostrare la penale responsabilità degli altri dieci imputati, da giudicare con il rito ordinario, bisognerà sentire in dibattimento nel contraddittorio delle parti decine di testimoni e ripercorrere la posizione penale degli altri quaranta imputati, già giudicati con il rito abbreviato. E allora, dov’è il guadagno per la giustizia ? Dov’è l’abbattimento dei costi e dei tempi ? Della clemenza si potrebbe fare un uso migliore se dedicata a chi vuole collaborare con la giustizia e non a chi si arricchisce sulle spalle della gente onesta”.
A proposito della “obbligatorietà dell’azione penale ecco il suo pensiero: “L’esercizio dell’azione penale è sancito dalla Costituzione. Il nostro ordinamento statale è fondato sulla uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, in particolare alla legge penale. Per evitare che l’uguaglianza potesse rimanere un valore astratto, il legislatore costituente ha previsto l’obbligatorietà dell’azione penale, principio in forza del quale chiunque commetta un reato è chiamato a risponderne davanti ala legge, indipendentemente dalla posizione sociale che occupa, dalla professione che svolge, dalla ricchezza di cui dispone e dal potere che esercita”:
Sulla tutela costituzionale per le alte cariche della Repubblica egli dice che “Il lodo Alfano rischia di bloccare processi in corso e mostra evidenti aspetti di debolezza sul piano etico e giuridico. Non convince l’interpretazione che presenta il lodo come una misura per tutelare le alte cariche della Stato da eventuali futuri processi. Fa pensare, piuttosto, a un meccanismo per impedire lo svolgimento di procedimenti legati a reati presumibilmente commessi in tempi precedenti”.
A proposito di mafie il rapporto di Confesercenti del 2008 conferma per le stesse un fatturato di 130 miliardi di Euro all’anno, la più grande azienda del paese.
E allora cosa dire dello “Scudo fiscale” ? “Ho pensato da subito che lo scudo fiscale avrebbe potuto rivelarsi un grande regalo alle mafie e alla politica corrotta. Grazie a questo provvedimento, sono potute rientrare in Italia, in modo legale, 105 miliardi di Euro illecitamente esportati”.
E per quanto riguarda invece le confische dei beni dei mafiosi “si rischia di confiscare solo le briciole. Infatti i dieci anni che di solito intercorrono tra il sequestro e la confisca sono tempi eccessivi che non aiutano la giustizia, né le aspettative della società civile. In un periodo così lungo, il bene sequestrato perde valore e per poterlo utilizzare sono necessari consistenti investimenti”.
Sulla Legge-bavaglio così si esprime il magistrato : “Più che a tutela del cittadino, quella presentata è sembrata una legge a difesa della privacy del potere che, se approvata, avrebbe finito per costruire attorno alle mafie una diga di silenzio. Proprio quel silenzio di cui le mafie hanno bisogno per meglio gestire le loro attività”.
Il Governo insiste a dire che si fa abuso di intercettazioni e il nostro magistrato invece dice che “Con le norme proposte che riducono, e a volte vietano, l’utilizzo delle telecamere, non avremmo mai arrestato latitanti come Totò Riina. E’ difficile pensare di poter installare telecamere solo in luoghi dove si sa che ci sono persone sulle quali si sta indagando. Vuol dire rassegnarsi a non trovarle mai”.
Quanto costa un’intercettazione ? “A Reggio Calabria costa 11 Euro più Iva al giorno e consente di seguire tutti gli spostamenti di un indagato, di monitorare ogni suo movimento nei dettagli, perfino sapere in quale abitazione entra. Invece un pedinamento da Reggio Calabria a Roma costa in media 3000 Euro e senza certezza del risultato, perché talvolta il pedinato se ne accorge e riesce a farla franca”.
E sul 41bis cosa dice Gratteri ? “Prima del 41bis molte carceri era state trasformate in Grand Hotel, dove i capi mafia potevano disporre di aragoste, champagne e prostitute. Dopo l’introduzione di questa norma è stato possibile isolarli, impedendo loro ogni forma di comunicazione con il mondo esterno. Una norma dura, ma giusta, per punire quanti vorrebbero delegittimare il potere della legge e continuare a dimostrare, a chi è rimasto fuori, che anche dal carcere possono comandare”.
Letizia Moratti, incalzata da un cronista che voleva conoscere il suo parere sulla mafia a Milano, rispose ironicamente : “La mafia a Milano ? Fatemela vedere”. Viene accontentata ! Il 13 luglio 2010 tra Lombardia e Calabria scatta l’operazione “CRIMINE”, uno dei blitz più imponenti degli ultimi anni. Finiscono in carcere più di trecento persone.
Ma nonostante i tanti arresti il magistrato Nicola Gratteri è convinto che ci fosse poco da festeggiare per questa operazione perché “il Governo parla di seicentoventi blitz, seimilacinquecento arresti, sedici miliardi di beni confiscati. Certamente operazioni importanti, ma la lotta alla mafia non si misura con il numero dei latitanti arrestati, bensì con il grado di vivibilità che lo Stato riesce a garantire ai suoi cittadini. Ci sono ancora zone del paese a sovranità limitata, dove quasi nessuno ha la possibilità di costruirsi una casa senza ricorrere ai materiali inerti o al calcestruzzo imposti dai clan o alla manodopera controllata dai boss. C’è poi il problema delle estorsioni. Con i commercianti che pagano e i giovani che hanno paura di avviare un’attività, il mancato investimento si traduce in mancata occupazione. E il discorso si potrebbe allargare ai tanti supermercati che i boss utilizzano per giustificare, attraverso l’emissione di falsi scontrini, le enormi e illecite ricchezze accumulate con il traffico di droga e con l’usura.
La nostra è ancora oggi, purtroppo, un’antimafia “del giorno dopo”, mentre dovrebbe essere capace di anticipare i tempi e colpire con continuità e determinazione il nodo che tiene strette tra loro mafia, politica ed economia”.
A proposito della Chiesa dice che “C’è ancora, purtroppo, una Chiesa, e non certo quella del popolo di Dio, pronta a stare al fianco dei potenti mentre dovrebbe stare tutta dalla parte di quei preti coraggiosi che, ogni giorno, rischiano la vita per insegnare ai giovani il catechismo della legalità. Non si può essere insomma duri con il peccato e tolleranti con il peccatore”.
Peppino Impastato diceva che “se la Chiesa avesse praticato la rottura, radicalmente e permanentemente, e avesse messo lo stesso impegno nel rifiuto della violenza, nella denuncia della mafia come incompatibile con l’etica cristiana e con qualsiasi etica, che ha messo, per esempio, nella minuziosa classificazione delle eresie e dei comportamenti sessuali, non saremmo al punto in cui siamo, almeno sotto il profilo del consenso alla mafia”.
Vediamo tutti come cresce la preoccupazione dei rifiuti, premio e dannazione dei paesi industrializzati. Per chi deve riciclare rifiuti, lo spazio ed il vuoto sono elementi di ricchezza. E l’Africa è piena di vuoti, pronti ad essere riempiti con i rifiuti dei paesi industrializzati. La criminalità ambientale è un problema che ci riguarda molto da vicino e che rappresenta una grave e tragica ferita per la salute di persone e territorio. In Italia il fatturato dell’ecomafia è pari a 21 miliardi di Euro. Nel 2008 sono stati accertati venticinquemilasettantasei reati; quasi settantuno al giorno, tre ogni ora.
A Rosarno, fino a qualche anno fa, centinaia di lavoratori stagionali, ogni giorno all’alba, si presentavano con gli stivali di gomma verde alle porte del paese, pronti, a un cenno dei capolari, a salire su pulmini diesel e raggiungere glia agrumeti della Piana. Guadagnavano 25 Euro per un’intera giornata di fatica. Un popolo che adesso a Rosarno non serve più. Negli ultimi due anni infatti la richiesta di manodopera si è ridotta dell’80%, e bulgari e rumeni sono diventati più graditi degli africani perché cittadini europei che, assoldati in nero, fanno rischiare multe più lievi.
Ma non si tratta solo di multe. Raccogliere arance è diventato poco conveniente da quando l’Unione Europea destina i sussidi non più sulla base del raccolto ma dell’estensione dei terreni. L’Europa cioè paga ad ettari e non a chili. Si guadagna di più a lasciare la arance sugli alberi, o addirittura a marcire per terra. Nel 2008 quarantacinque arresti per contributi illeciti per un affare di 18 milioni di Euro.
Importanti inchieste hanno denunciato l’infiltrazione della mafia nell’edilizia al Nord. A Milano, come denunciano i sindacati degli edili, il settore dell’edilizia è composto per il 50% da lavoratori stranieri. Di questi il 30% è costituito da clandestini che lavorano in nero e guadagnano 3 Ero all’ora contro i 22 dei lavoratori regolarmente assunti. Se denunciano il datore di lavoro, vengono espulsi per effetto delle norme contenute nel pacchetto sicurezza. Ma il problema va oltre l’edilizia ed è ampiamente diffuso.
Il federalismo può risolvere questi problemi ? Gratteri così si esprime : “Credo di no! Il federalismo rischia di consegnare definitivamente il Sud alle mafie. Sarà molto più facile condizionare le scelte politico-amministrative nelle regioni dove maggiormente si sente la pressione mafiosa. Con il federalismo, e i centri di spesa a livello locale, le cosche hanno a portata di mano non solo la politica, ma anche l’amministrazione. La mentalità delle mafie è essenzialmente predatoria , puntano a divorare le risorse, ed è molto più facile farlo nei capoluoghi regionali che non a Roma.
Nel Cilento nell’anno 2010 è stato ucciso Angelo Vassallo, un sindaco che si batteva per la tutela del territorio. Cosa ha da dirci il magistrato su questo argomento ? “Giorno dopo giorno crescono gli appetiti di tanti imprenditori, e si continua a saccheggiare il territorio. Gli abusi edilizi sono sotto gli occhi di tutti. Secondo Legambiente in Italia vengono costruite sedici case abusive ogni giorno e molte case costruite in zone a rischio sono state condonate ! Si ripete quello che, purtroppo, è il tragico vezzo italiano; si violentano per anni la natura ed il territorio e solo quando accadono le tragedie ci si accorge degli errori e si chiede l’intervento dello Stato. Corrette politiche di prevenzione avrebbero certamente potuto limitare tanti danni”.
A proposito del legame fra ‘ndrangheta e potere politico in tutta la penisola il giornalista Cesare Giuzzi concorda con Gratteri quando dice che “la malavita che impera a Nord non è una ‘ndrangheta di conquista, ma una mafia stanziale, strutturata, incredibilmente ancorata al terreno politico, produttivo e sociale di buona parte dell’hinterland di Milano”.
I politici hanno bisogno di voti e le ‘ndrine votano e fanno votare, perché, come dice il boss locale di Bollate “non è importante destra o sinistra a livello locale. Le relazioni con i politici, non sempre indagati, benché avvicinati e coinvolti in un rapporto sistemico di cointeressenze, rappresentano il capitale sociale dell’organizzazione criminale ”.
La Direzione investigativa antimafia asserisce che a Milano oltre cinquemila commercianti pagherebbero il pizzo e un negozio su cinque sarebbe controllato dalle cosche che comandano su interi quartieri. E intanto l’Ufficio italiano cambi sta operando su 6098 operazioni finanziarie sospette a Milano e provincia. Già nel 1999 la magistratura milanese avvisava la Commissione parlamentare antimafia che nel capoluogo lombardo “il 90% delle inchieste riguarda clan di ‘ndrangheta”. Era chiaro che le ‘ndrine della Locride stessero penetrando il cuore finanziari d’Italia.
In Lombardia ormai la ‘ndrangheta si è ambientata talmente bene che non ha più bisogno di praticare l’intimidazione. Anzi, come ha sottolineato la Dia, si serve di “nuove e sfuggenti tecniche di infiltrazione, che hanno sostituito le capacità di intimidazione con due nuovi fattori condizionanti: Il primo è il ricorso al massimo ribasso nelle gare d’appalto e il secondo è la decisiva importanza contrattuale attribuita ai fattori temporali molto ristretti per la conclusione delle opere”.
Paolo Borsellino diceva che “Mafia e politica sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo. Il terreno su cui possono accordarsi è la spartizione del denaro pubblico, il profitto illegale sui pubblici lavori.”. Lo stesso diceva anche che “non basta “una distaccata opera di repressione per combattere le mafie, c’è bisogno di un movimento culturale, morale e religioso che coinvolga tutte quelle persone che hanno voglia di opporsi al puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità e quindi della complicità, per sentire finalmente la bellezza del fresco profumo di libertà”.
Nicola Gratteri concludendo dice che “Le mafie non potrebbero esistere se non fossero intrecciate a poteri più visibili, come la politica, l’economia e le istituzioni. Per sciogliere un nodo così serrato non possono bastare né la magistratura né le polizie, ma serve un costante alimento etico –politico, un adeguato sostegno dello spirito pubblico e il coinvolgimento di persone e gruppi, elite e popolo per rendere concreta la convivenza della legalità e perdente quella dell’illegalità”.
Lui non ha perso la voglia di combattere, in un paese che sembra temere i disperati che sbarcano a nuoto a Lampedusa più dei numerosi mafiosi, camorristi e ‘ndranghetisti che,in alcuni casi, hanno rapporti con la politica oppure gestiscono affari dalle tante poltrone degli enti territoriali.